Il saggio non si addolora scoprendo la vera natura del mondo … la pace dello spirito non si può produrre col pianto e coi lamenti … quel che ci si aspetta è sempre diverso da quel che poi accade …
- La vita in questo mondo è imprevedibile e incerta. La vita quaggiù difficile e legata alla sofferenza.
- Ogni essere vivente, una volta nato, è destinato a morire. Non c’è modo di sfuggire a questa sorte. Quando sopraggiunge la vecchiaia, oppure un’altra causa, allora c’è la morte. Questo è quel che succede agli esseri viventi.
- Come i frutti maturi sono sempre in pericolo di cadere, così anche gli esseri, una volta nati, possono morire in ogni momento.
- Proprio come i vasi di coccio fabbricati dal vasaio finiscono sempre per rompersi, così avviene con le vite dei mortali.
- Siano giovani o vecchi, saggi o stolti, tutti finiscono in potere della morte. Tutti gli esseri viventi si avvicinano alla morte.
- La morte sopraffà tutti. Tutti vanno all’altro mondo. Allora neanche il padre può salvare il figlio, né la famiglia i propri congiunti.
- Guarda: mentre i parenti osservano gementi, con le lacrime agli occhi, gli uomini vengono portati via a uno a uno, come animali condotti al macello.
- Così la morte e la degenerazione sono endemiche nel mondo. Perciò il saggio non si addolora scoprendo la vera natura del mondo.
- Non sappiamo quale via abbia preso il defunto, né donde sia venuto a questo mondo, né dove se ne sia andato dopo. Non ha senso addolorarsi per lui.
- Se chi si addolora ci guadagnasse qualcosa, pur comportandosi come uno sciocco che cerca di ferire se stesso, anche il saggio farebbe lo stesso.
- Ma la pace dello spirito non si può produrre col pianto e coi lamenti. Anzi, al contrario, questi arrecano solo più sofferenza e dolore.
- Chi si dispera diventa brutto, dimagrisce e punisce se stesso. E tutto questo non può far ritornare in vita il defunto: il suo dolore è inutile.
- La persona che non riesce a voltare le spalle al proprio dolore non fa che macerarsi nella sofferenza. I suoi stessi lamenti lo rendono schiavo del dispiacere.
- Guardate gli esseri che affrontano la morte, che trapassano secondo gli effetti delle loro azioni passate, che cominciano a tremare quando sono ancora quaggiù, quando si accorgono di essere nella trappola della morte.
- Quel che ci si aspetta è sempre diverso da quel che poi accade. Da ciò vengono solo grandi delusioni. Così va il mondo.
- Una persona può vivere cent’anni, e anche di più, ma alla fine verrà strappato all’affetto dei propri congiunti, quando dovrà lasciare la vita in questo mondo.
- Perciò dovremmo ascoltare e imparare dai nobili che rinunciano al loro dolore. Essi quando vedono che qualcuno, giunto al termine della sua vita, trapassa, dicono: «Non lo vedrò mai più».
- Chi desidera la propria felicità deve estrarre il dardo che si è conficcato nel petto, la punta della freccia del pianto, della nostalgia, dello struggimento.
- Chi riesce a svellere questo dardo, chi non dipende da nessuno, chi ha conquistato la tranquillità della mente, chi ha superato tutto il dolore, una tal persona, libera dal dispiacere, ottiene la pace.
( Sutta Nipata, III, 6 )
Il Sutta-Nipata, “Collezione di Discorsi”, è uno dei testi più antichi del “Canone Pali”, scritto quando la tradizione monastica non era ancora così forte. Fu creato dai fedeli e si rivolge a tutti, non solo a monaci o monache.
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– https://www.canonepali.net/snp/snp_index.htm
– https://en.wikipedia.org/wiki/Sutta_Nipata
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