Gli spunti che offre la saggezza orientale sono innumerevoli e ridondanti. Soffermarsi qualche istante su queste opportunità di buonsenso non potrà che dimostrarsi giovevole. Senza contare che si tratta, quasi sempre, di indicazioni piuttosto pratiche. Qui si congettura sulla possibilità, sempre presente quanto deprecabile, di afferrare male, ossia in modo distorto, le svariate dottrine religiose.
«Vi sono, purtroppo, o monaci, uomini vani che apprendono il Dhamma e che, quantunque l’abbiano appreso, non ne ricercano con saggezza il senso. Siccome non ne ricercano con saggezza il senso, il Dhamma non fornisce loro alcun sapere. Essi non imparano il Dhamma se non per poter esprimere su di esso discorsi e opinioni. Lo scopo per cui va appreso il Dhamma essi non lo vedono. A loro i mal appresi insegnamenti riescono largamente di danno e di dolore. E perché? Perché essi, o monaci, hanno afferrato male gli insegnamenti. È, o monaci, come se un uomo, che brama serpenti, uscisse per serpenti, in cerca di serpenti, ne trovasse uno possente e l’afferrasse per il corpo o per la coda: e il serpente si scagliasse su lui e lo mordesse alla mano, al braccio od in altro membro, così che egli ne soffrisse la morte o mortale dolore. E perché? Perché egli, o monaci, avrebbe afferrato male il serpente. Or così anche appunto, o monaci, vi sono uomini vani, cui le male apprese dottrine riescono largamente di danno e di dolore. E perché ciò? Perché essi, o monaci, hanno afferrato male le dottrine.»
(Majjhima Nikāya XXII, Alagaddupama sutta)
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